Stan Getz e J.J. Johnson se la suonavano per bene da un vinile all'inconfondibile sapore di muffa. C'era una festa di strumenti cantanti e c'erano gli applausi del pubblico pagante che interveniva ad ogni solo di sax. Poi c'ero io e un'altro paio di cose che ora non ricordo. La serata aveva offerto una cena onesta, un telegiornale noioso e una sigaretta di tabacco secco. Erano passati giorni grigi di cielo, ma questo era normale perchè l'autunno avanzava facendo il suo lavoro di stagione di merda. Il telefono aveva squillato e una voce di donna aveva cominciato a raccontare di un'amore durato cinque giorni, di un tricologico colore che era tornato a splendere, di eventi più o meno interessanti. Ascoltavo, seguendo le evoluzioni di una mosca sul vetro della finestra, interrompevo quando credevo fosse giusto interrompere, rispondevo quando mi veniva domandato. A volte quella voce diventava risata ed era bella, dolce come il canto di quel sax che ora si era fatto lontano. Quando non si ebbe più nulla da raccontare ci fu un saluto breve e per questo bellissimo. Si tornò alla sera, io alla mia e lei alla sua.
Feci scivolare delicatamente la testina sul vinile e il concerto ricominciò.
3 commenti:
Le tue storie mi appassionano sempre di più, caro scalia.. soprattutto quell' aroma inconfondibile di tabacco che aleggia fin qui..
Buongiorno fratello!
Beh ti ringrazio. Soprattutto per l'aroma. Me lo porto dietro da diverse stagioni ormai...
Jack Bisca ha gradito il post...un bel quadretto intriso di jazzamarezzautunnale..
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